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Pierpaolo Spollon, l’autoironia e le emozioni. «È vero, tratto male l’affetto»
Al Teatro Romano lunedì 8 luglio lo spettacolo di stand-up comedy «Quel che provo dir non so».
«Quel che provo dir non so». Bel problema, ma non per Pierpaolo Spollon, attore e comico, che lunedì 8 luglio porterà il suo spettacolo – quello è il titolo – sul palco del Teatro Romano. La regia è di Mauro Lamanna e Spollon, il cognome lascia poco spazio all’immaginazione sulle origini (Padova), gioca con l’autoironia. Parla di sé, delle emozioni. Del dentro verso il pubblico.
Spollon, che tipo di spettacolo dobbiamo aspettarci al teatro Romano? Qual è il tema attorno a cui ruota tutto quanto?
Sarà uno spettacolo di stand-up comedy, un programma televisivo portato a teatro. Parla di emozioni e, in generale, del fatto che non ci prestiamo troppa attenzione. Con un richiamo, in chiave autoironica, a prestarne di maggiore.
Quali libertà si prende?
Libertà è una parola molta complessa. La pensiamo sempre legata al raggiungimento di qualcosa. Quella che sto cercando io, però, è più mentale. Libertà dall’essere sempre il giudice di me stesso. Quindi di sbagliare, di non avere aspettative.
Qual è la sua «arma» per raccontare certe cose, anche molto personali?
L’autoironia, assolutamente. Mi piace umiliarmi, finché il mio ego me lo permette. E devo dire che ho abbassato notevolmente il livello negli ultimi anni. Lo faccio davanti agli altri così possono dire: va bé se lui lo fa su un palco, se dice o racconta certe cose, allora anche io posso tranquillizzarmi. Mettersi al di sotto degli altri, in un ipotetico livello di scontro, aiuta sempre le persone a togliere qualche barriera.
Secondo lei sono troppo le limitazioni del «politicamente corretto». Cosa ne pensa?
Direi di sì. Sono convinto che questo sia un momento storico in cui tutto deve essere esagerato per alzare l’asticella dell’attenzione. Per poi riportare di nuovo tutto a una certa mediazione. In questo momento non siamo più liberi di dire niente. Perché pensiamo che possa sempre offendere qualcuno ma come diceva mia nonna “el tropo stropia”.
«Quel che provo dir non so», il suo spettacolo. C’è qualcosa che non riesce a dire? Anche nella vita di tutti i giorni…
Ho delle enormi difficoltà a gestire i complimenti. Sono una di quelle brutte persone che tratta male l’affetto. Ma non solo. Prendo in giro le persone bonariamente quando provo dell’affetto. Sì, in questo senso ho delle difficoltà…
L’abbiamo vista in molte vesti. Dal teatro, sul palco, grande e piccolo schermo. In quale si trova più a suo agio?
Cinema. La macchina da presa è lo strumento che mi interessa e mi incuriosisce di più. Anche se ho iniziato a fare teatro quest’anno, per la prima volta, e il rapporto con il pubblico ti dà la spinta per improvvisare. Per capire immediatamente se una cosa funziona oppure no. È un esercizio di attenzione meraviglioso.
É anche scrittore però…
Sì. Tutto è nato quando ho deciso di fare il mio primo spettacolo a teatro. Avevo letto un articolo di una sociologa che raccontava come il 70 per cento dei casi di depressione giovanile sia dovuta al fatto che i ragazzi non riescono a riconoscere le proprie emozioni. Questa cosa mi ha preso talmente tanto che anziché scrivere 30 pagine ne ho scritte 100. La mia casa editrice, Ribalta edizioni, mi ha proposto di scrivere un romanzo e a quel punto ho pensato: perché non riutilizzare quel materiale reinventando una storia d’amore che non è altro che l’emozione più forte? Mi sono messo a scrivere con il mio socio Matteo Monforte e così è uscito il mio primo libro che si chiama «Tutto non benissimo».
Dopo il tour cosa farà?
Mi fermerò un po’ dopo un anno e mezzo sempre fuori. Ho fatto un film con Matilde Gioli e Asia Argento, uscirà una serie su «Prime» con Jesse Williams girata dal regista di Breaking Bad.
di Nicolò Vincenzi
L’Arena.it